LIBRI CAVALLERESCHI
Parte prima
«Pendant deux siècles, les Français ont eu la tête épique», scrivono, nella prefazione del libro Les Quatre Fils Aymon, Micheline de Cambarieu du Grès e Jean Subrenat.
Forse il medesimo dono è toccato a noi siciliani (anche grazie al teatro dell’opera dei pupi e ai libri di Lodico e Leggio).
Quei tempi epici ed eroici sono ormai trascorsi ma non mancano, ancora oggi - in pieno periodo di supertecnologia - , dei veri appassionati di libri di epica, di amor cortese e cavallereschi (sia antichi che recenti).
Sono uno di questi fortunati.
Da questo aggiornamento inizia una originale e interessante rubrica sui libri cavallereschi che ho acquistato - altri avuti in prestito -, in tutti questi anni, avec ma tête épique.
Nel suo libro Piccola storia dei burattini e delle maschere, (SEI, Torino, 1966) Dora Eusebietti scrive splendidamente (pag. 185):
Catania e Palermo: il regno d’Orlando e l’ultimo rifugio della cavalleria.
Ed è proprio un catanese, appassionato dell’opera dei pupi e dei libri cavallereschi, ad essere l’ideatore e autore di questa rubrica.
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1] Rambaldo di Vaqueiras
Rambaldo di Vaqueiras è un poema drammatico cavalleresco in 4 atti scritto da Nino Berrini (1) e pubblicato da Mondadori nel 1921 (la copia è autografata dall’autore nella copertina e, con dedica al suo interno, datata Natale 1921).
Rambaldo (Raimbaut de Vaqueiras, ca. 1150-1207)
è un famoso trovatore provenzale.
Le vicende della commedia, che ha basi storiche, hanno inizio intorno al 1192 alla corte del marchese Bonifacio del Monferrato. Qui Rambaldo, già noto trobador, verrà investito cavaliere e seguirà il marchese nella quarta Crociata dove, entrambi, troveranno la morte sui monti Rodopi in Bulgaria nel settembre del 1207.
Nella commedia il Berrini immagina il ritorno di Rambaldo, ferito mortalmente, al castello del Monferrato per rivedere l’amata Beatrice. Qui muore ascoltando una sua canzone d’amore cantata da giullari.
L’investitura a cavaliere di Rambaldo nel disegno di F.D. Crespi (tra poco Rambaldo trovadore vorranno nobilmente corredato di spada e usbergo ed elmo e buon corsiere
ed addobbato forte cavaliere).
| Una pagina musicale del libro |
Interessante la descrizione della procedura di investitura a cavaliere
di Rambaldo:
1) In una chiesetta Rambaldo passa tutta la notte per la veglia d’armi, in preghiera, rigorosamente in piedi o in ginocchio (mai seduto) come vuole il rituale.
2) Gli vengono dati gli speroni d’oro.
3) Gli viene consegnata la spada.
3) Per ultimo, Rambaldo riceve l’alapa, lo schiaffo rituale che viene inferto sul collo.
Tra i personaggi
della commedia il trovatore italiano Alberto Malaspina (ca. 1160 - 1210) e il trovatore di Tolosa Peire Vidal
(ca. 1140 - 1205), famoso anche per la sua mania di grandeur ben descritta nel libro (Date passaggio … fate
largo … apritevi … deve passare la mia
grandezza … tutta! - Vagante imperator son di
poeti.
Chiara una legge sola mi governa;
atterrar cavalieri e abbracciar dame). Vidal dimostra di conoscere “La Chanson de Roland” (Valgo in valor Rolando e Olivier).
Nel libro si ricorda il viaggio di Rambaldo
in Sicilia nel 1194 al seguito del marchese Bonifacio
E quando andando per Sicilia ardente, nella mischia a Messina vi coprii di scudo alle quadrella ed ai tronconi che tutti vi scagliavano contro.
Nota: 1) Nino Berrini (1880 - 1962), giornalista e
scrittore.
Per il teatro scrisse diverse commedie:
- Il tramonto d'un re (1912);
- Il beffardo 1920;
- Rambaldo di Vaqueiras (1921) che venne rappresentata per la prima volta il 9 dicembre 1821 al teatro Manzoni di Milano dalla compagnia diretta da A. Bertone;
- Francesca da Rimini (1923);
- La nuda del Cellini (1928);
- Teresa Casati Confalonieri (1938).
2] Ettore Fieramosca, ossia La disfida di Barletta
Uno dei più famosi libri cavallereschi scritti nell’Ottocento è certamente Ettore Fieramosca, ossia La disfida di Barletta (1833), del torinese Massimo D’Azeglio (1).
L’avvenimento storico è noto e lo riassumiamo brevemente: durante la guerra fra spagnoli e francesi nel sud Italia, un cavaliere francese accusò di codardia gli italiani alleati degli spagnoli. Per vendicare l’affronto gli italiani sfidarono i migliori cavalieri francesi. Ecco l’elenco dei
partecipanti alla sfida:
Barletta, 13 febbraio 1503. |
Cavalieri
Italiani |
Cavalieri
Francesi |
Ettore
Fieramosca |
Charles
de Torgues |
Francesco
Salamone |
Marc de
Frigne |
Marco
Corollario |
Girout
de Forses |
Riccio da
Parma |
Claude
Grajan d'Aste |
Guglielmo
Albimonte |
Martellin de Lambris |
Mariano
Abignente |
Pierre
de Liaye |
Giovanni
Capoccio |
Jacques
de la Fontaine |
Giovanni
Brancaleone |
Eliot
de Baraut |
Lodovico
Aminale |
Jean de
Landes |
Ettore
Giovenale |
Sacet
de Sacet |
Fanfulla
da Lodi |
François
de Pise |
Romanello
da Forlì |
Jacques
de Guignes |
Miale da
Troia |
Naute
de la Fraise |
RISULTATO FINALE: ITALIA BATTE FRANCIA 13 -
0 |
Una delle più limpide e gloriose vittorie
cavalleresche. Non tutti sanno, però, che fra i tredici
cavalieri italiani c’erano anche due siciliani, Francesco Salamone e
Guglielmo Albimonte.
I due cavalieri siciliani della disfida di Barletta
Francesco Salamone, nacque a Sutera (provincia di Caltanissetta) nel 1478 e morì a Parma nel 1569.
Una lapide eretta nel 1903 lo ricorda nella sua città natale.
Altra lapide è riportata nella chiesa di Santa Maria della Minerva a Roma.
Fu uomo d’armi e soldato di ventura.
Guglielmo Albimonte,
nacque a Palermo nel 1476 e morì a Capua nel 1532.
Fu uomo d’armi e partecipò alla battaglia di Ravenna del 1512.
A lui è dedicata una strada a Palermo.
La partecipazione alla disfida di Barletta e la conseguente vittoria di questi nostri conterranei (due veri cavalieri!) è, e deve continuare ad essere, motivo di grande orgoglio per noi siciliani.
Prima della sfida, Prospero Colonna, passando in rivista il gruppo dei tredici italiani di cui era padrino, li spronò con queste infiammate parole: Signori! non crediate ch’io voglia dirvi parola per eccitarvi a combatter da uomini pari vostri: vedo fra voi Lombardi, Napoletani, Romani, Siciliani. Non siete forse tutti figli d’Italia ugualmente? Non sarà ugualmente diviso fra voi l’onore della vittoria? Non siete voi a fronte di stranieri che gridan gl’Italiani codardi?.
Oltre lancia, spada e pugnale che ogni uomo d’arme portava sulla persona, avea appese all’arcione davanti una mazza d’acciajo, ed un’azza: e gl’Italiani avean gran nome nel maneggio di quest’armi. Il modo poi d’ornarsi era vario, secondo il capriccio d'ognuno: sulla cima degli elmi svolazzavan penne di molti colori disposte per lo più intorno ad un lungo pennacchio formato della coda del pavone.
Comincia lo scontro: ed i cavalieri con moto simultaneo allentate le briglie, curvati i dorsi sul collo dei cavalli, e piantando spronate che li levavan di peso, si scagliarono a slanci prima, poi di carriera serrata rapidissima gli uni su gli altri, levando il grido, Viva Italia! da una parte, e Viva Francia! dall’altra, che s’udì fino al mare.
E’ Fanfulla il primo a disarcionare il rivale. E’ Martellin de Lambris il primo francese a cadere.
Fanfulla, per disgrazia del Francese, gli si trovò contra, e con quella sua pazza furia, nella quale era pur molta virtù e somma perizia, gli appiccò alla visiera la lancia in modo che lo spinse quant’era lunga a fargli assaggiar s’era soda la terra, e nel fare il bel colpo alzò la voce in modo che s’udì fra tanto strepito, e gridò: E uno!.
A quell’uno seguirono gli altri, fino alla vittoria completa degli italiani.
Nel 1938 il regista Alessandro Blasetti girò il film in B/N Ettore Fieramosca con una interessante ricostruzione storica della disfida. Fieramosca era interpretato da Gino Cervi.
1) Massimo d’Azeglio, (1798 - 1866) fu politico, pittore e scrittore.
Opere letterarie:
- Ettore Fieramosca, o la disfida di Barletta (1833);
- Niccolò de' Lapi, ovvero i Palleschi e i Piagnoni (1841).
Tra le opere pittoriche:
- Combattimento di Rinaldo e Gradasso;
- La disfida di Barletta.
3] A Ondina do Lago
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A Ondina do Lago (L’ondina del lago) pubblicato nel 1866 è un poema cavalleresco in versi di Teofilo Braga (1). La versione italiana, pubblicata da Sonzogno nel 1912,
è realizzata in prosa e in versi da Antonio Padula e Giovanni Voltan e approvata dall’autore.
Il libriccino di 89 pagine è diviso in tre parti:
La coppa di Tristano; I paladini dell’amore; Il cavaliere errante.
LA COPPA DI TRISTANO: Gontrano, figlio ventenne di Valdemaro re di Danimarca, incontra, nei pressi di un lago, il cavaliere Tristano ferito e sofferente: insanabile lo divora l’eterna sete dell’amore. Tristano, per errore, ha bevuto un filtro che ha suscitato in lui un folle amore per Isotta.
Nella foresta ha incontrato un misterioso cavaliere che gli ha chiesto di scegliere tra la coppa del Santo Graal e la coppa col filtro d’amore. E, dunque, tra una coppa che dà vita immortale, supremo potere, gioja e speme che vince il dolore e lo sconforto e una coppa che suscita passione ardente, invincibile. Senza titubanze Tristano ha scelto la seconda. Adesso è in suo possesso,
la porge
a Gontrano pregandolo di riempirla d’acqua e portargliela.
Gontrano, inspiegabilmente, beve dalla coppa (che è sempre impregnata del filtro) e un fuoco gli serpeggia per tutte le membra: è la subitanea passione per un ignoto ideale.
Inavvertitamente lascia cadere la coppa nel lago. La coppa scompare.
Commento: Tristano, nell’originale poema Tristan et Iseut (scritto tra il 1165 e il 1170 dal giullare Béroul) non è un cavaliere alla ricerca del Graal, oggetto a lui completamente sconosciuto.
Tristano diventa un cavaliere della tavola rotonda (e viene, quindi, a conoscenza del Graal e della sua cerca) solo in poemi successivi e, certamente, per ispirazione cristiana.
Nel lavoro di Braga coesiste, quindi, il Tristano folle d’amore per Isotta del poema originale e quello “cristiano” delle opere letterarie successive.
Sofisticata simbologia?
Il Tristano del Braga sceglie consapevolmente la coppa col filtro perseguendo nella sua follia d’amore terreno rinunciando alla coppa Santa.
E quando la coppa maledetta sparisce nelle acque del lago, per l’imperizia di Gontrano, anche Tristano sparisce dal poema.
L’antitesi è sciolta?
Resta Gontrano, novello Tristano, già folle d’amore e al quale nessuna scelta è più possibile.
Nel capitoletto finale della prima parte (intitolato “Nella sala d’armi) Gontrano viene fatto cavaliere dal padre.
Valdemaro dona al figlio la sua spada (vecchia e flessibile lama di Damasco dalla tempra damantina).
Commento: l’intreccio di tutto il poema è mirabile ma in questo punto la descrizione del rituale dell’investitura è troppo povero e si limita al solo momento della donazione della spada.
I PALADINI DELL'AMORE:
All’inizio della seconda parte,
accanto ad un braciere ardente, il padre racconta a Gontrano la sua vita e le sue disgrazie.
Per amore di una donna ha ucciso in duello un cavaliere che poi ha riconosciuto come il fratello. Adesso, una maledizione incombe su di lui e su Gontrano.
Nel capitoletto finale della seconda parte (intitolato “La partenza”) Valdemaro esorta il figlio con queste parole: Gontrano! Tu solo mi restavi fedele sulla terra; oggi te pure l’amore allontana da me. Va, segui nel mondo il tuo destino, ma ricordati il presagio che mi minaccia. Tu solo puoi scongiurarlo, vincerlo, se ritroverai il San Graal, la coppa della speranza, della gloria e della felicità infinita.
Commento: ma si può usare il Santo Graal a fini personali? Non è un dono destinato a tutta l’umanità? Può avvenire che un figlio soccorra il padre ferito e morente e lo risani facendogli bere dell’acqua dalla coppa Santa? (non vi ricorda un film d’avventura del 1989, posteriore al poema?).
IL CAVALIERE ERRANTE:
Nella terza parte Gontrano, più che cercare il Graal, cerca
la fanciulla amata - l’ondina del lago - che è addormentata sotto incantamento.
Per svegliarla con un bacio bisogna pronunciare il suo nome segreto.
Per conoscere questo nome Gontrano
va errando e s’imbatte
nelle lamentazioni dell’Ebreo errante, in quelle del dottor Faust, in quelle di Don Giovanni e del mago Merlino.
La facile cattura del cavallo Bajardo (che, dopo la morte di Rinaldo, corre libero nelle foreste delle Ardenne), gli permetterà di giungere a Rodi, sconfiggere il drago e strappargli la lacrima che contiene il nome segreto dell’addormentata.
Ma un triste destino incombe.
Nota:
1) Teofilo Braga
(1843 - 1924), poeta portoghese.
Dal 1883 al 1902 realizzò tre importanti progetti:
Canti tradizionali del popolo portoghese; Il popolo portoghese nei suoi costumi, credenze e tradizioni; Storia della poesia popolare portoghese.
4] Li dui primi canti di Orlandino
I due canti vennero stampati in volume a Venezia intorno al 1540. Il libro è chiamato comunemente
l’Orlandino. L’autore, Pietro Aretino (1), non completò mai il
lavoro. Il primo canto si compone, infatti, di 50 ottave e il secondo solamente di 6.
Nell’Orlando Furioso (ottava 14 del canto 46), Ludovico Ariosto
definisce Pietro Aretino come il “Divino” e il “flagello dei
principi”.
L’Aretino è stato un poeta, scrittore e drammaturgo
nato ad Arezzo nel 1492. È noto, soprattutto, per le Pasquinate,
poemetti satirici scritti in forma anonima e affissi sulla statua
del Pasquino a Roma.
Certamente, Ariosto, morto nel 1533, non poté leggere l’opera
dell’Aretino che “insidiò” in celebrità il suo Orlando Furioso.
Ariosto non poté leggere l’opera e non poté aggiungere,
agli elogi già fatti, anche quelli di “flagello di paladini e d’imperatori”.
Ma di quale libro parlo, quale libro dell’Aretino poté mai insidiare
la somma opera dell’Ariosto?
Ovviamente parlo del celebre “Orlandino” stampato nel
1540.
A 8 anni di distanza dalla pubblicazione della revisione e
ampliamento del poema dell’Ariosto (che venne portato a 46
canti), a 7 anni dalla morte dell’autore, Aretino lancia la sfida e
si cimenta in un poema cavalleresco.
Ottave là (nell’Orlando Furioso), ottave qui (nell’Orlandino);
Orlando come protagonista là (nell’Orlando Furioso), Orlando
protagonista qui (nell’Orlandino).
Oh, anche il divino Aretino parlerà di armi, di amori come
l’Ariosto canta all’inizio del suo poema, le donne/i cavalieri/le
arme/gli amori?
No, l’Aretino è molto più originale.
La sua non è la storia, come si potrebbe pensare dal titolo,
dell’infanzia di Orlando, no. Il titolo è usato per descrivere
Orlando come piccolo, minuscolo, mediocre, per schernirlo,
immiserirlo.
Descrive i paladini come truppa di gaglioffi e poltroni
Le eroiche pazzie, li eroichi umori.
Le traditore imprese, il ladro vanto,
le menzogne de l’armi e de gli amori, […]
ad alta voce canto.
così comincia il poema dell’Aretino.
Bello, vero? Perdoniamo all’Aretino, è un versificatore originale
e satirico.
Continuiamo, comunque, a leggere questo libraccio.
Dunque, armi, duelli, amori? Nooooo!
I paladini sono definiti
Rinaldo un uom bestial senza cervello,
Astolfo il vituper de’ suoi parenti
et era un scempio il marchese Ulivieri
e il Danese il fachino delle genti
Turpin, prete poltrone.
Perdoniamo le offese: è una satira! Aretino è un originale!
Ma ecco altre offese:
Questo è la verità! Non dice fola,
come ser Pulci, il Conte e l’Ariosto,
l mio sol Aretin,
State dunque ad udir, o spensierati,
i ladri gesti de i guerrier pregiati.
dirò cose tanto nove e belle
che porranno in stupor fino alle stelle.
E qui ci vorrebbe qualcuno che gridasse “Grossa, don Pietro!”
come avveniva durante gli spettacoli dell’opera dei pupi
alle esagerazioni del puparo.
Ma il culmine del disgusto si prova nel leggere la lunga
descrizione del pasto dei paladini. Veramente ignobile!
Questo è troppo anche per me e interrompo la lettura.
A noi siciliani i paladini sono molto cari, non tolleriamo
offese, volgarità e sberleffi amari.
Possiamo lasciare impunite le offese su Orlando e i Paladini?
No, i Paladini non si toccano!
Ed ecco allora un libello, una contro-Pasquinata coi fiocchi, sotto forma di dialogo tra un grande collezionista mantovano e un noto libraio
di Roma.
Il collezionista, dopo aver a lungo curiosato
negli scaffali del libraio, chiede un libro al mercante. Ecco la
risposta del libraio:
Come, cerca l’Orlandino?
Proprio quello del divin Aretino? (2)
Non lo trova su questi scaffali,
le copie han messo le ali.
Nel Tevere si son tuffate,
là le rime sono state risciacquate
e dalle infamie emendate.
Alla fine non è rimasta una sola ottava, un solo foglio.
Spiacente, Signore, ma quali versi, quale poema, era solo un
raglio.
Ma le piacciono i versi comici, Signore?
Ho giusto un foglio del mordace Vincenzo Clamore.
Lo legga con calma, me lo pagherà se è buono.
Fra poco uscirà il suo volume e sarà come un tuono.
Legge il collezionista e il foglio gli par carino.
Prenota il volume e dimentica l’Aretino.
Ecco il contenuto del foglio:
Un gran suono Carlo ode da molto lontano.
È l’Olifante, è in pericolo Orlando, il buon paladino.
Cavalca veloce Carlo per salvar ogni suo cavaliere,
teme per la loro vita e per le frontiere.
Ma giunto a Roncisvalle, non vede battaglia,
son già tutti morti? Carlo pensa alla rappresaglia.
No, ma non c’è nessuna carneficina, nessuna strage.
Quei furbi paladin han trovato un allegro escamotage.
Un lungo serpente di deschi apparecchiati.
Han mangiato e bevuto a sazietà francesi e baschi affamati.
Era di russar il suono nella valle e intorno,
non richiamo di periglio col magico corno.
Francesi e baschi non più guerrieri armati
ma nel sonno nemici finalmente affratellati.
Non tutta la Spagna è stata conquistata,
ma cosa importa? Si ritorna alla casa tanto amata,
la guerra è finita con una grande mangiata. [continua]
Sistemo il mio libello sutta l’occhi ri lu liafanti ri Catania, sul simbolo della città.
Che tutti i cittadini lo leggano. Saranno facili, anche per loro, le rime con il cognome Aretino.
Ecco il momento della posa del libello in difesa dei paladini di Francia. In una delle tante interpretazioni letterarie.
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E così siamo vendicati. Sono stato il solo a
schierarsi in difesa dei paladini di Francia.
Note:
1) Pietro Aretino (1492 - 1556), scrisse di poesia e teatro. Opere principali: Sonetti lussuriosi e, tra le commedie, La Cortigiana.
2) Orlandino è anche il titolo di un poema in otto canti, in ottave di Teofilo Folengo. Venne stampato nel 1526 sotto lo pseudonimo di Limerno Pitocco da Mantova.
09/04/2016
| Carmelo Coco | |
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