Uno spettacolo straordinario: l’«Opera dei Pupi»,
per la prima volta e dopo più di un secolo, ha abbandonato i paladini,
le sciabole e le scimitarre per rappresentare gli scacchi.
Gregorio Granata
L’«Opera dei Pupi», costituisce, come bene ha scritto Bernadette Majorana nel fondamentale libro “Pupi e attori, ovvero l’opera dei pupi a Catania” pubblicato da Bulzoni Editore nel 2008, “un’espressione nuova dell’antico teatro di marionette”. Uno spettacolo teatrale, affermatosi in Sicilia prima della metà dell’Ottocento, con particolari tecniche di manovra e un repertorio, spesso improvvisato e affidato principalmente alla trasmissione orale, appartenente all’universo epico-cavalleresco. E’ da aggiungere che l’«Opera dei Pupi» è stata proclamata dall’Unesco, il 18 maggio 2001, “Capolavoro del Patrimonio Orale e Immateriale dell'Umanità”.
Reputo, adesso, fortunati i circa sessanta spettatori che il mattino del 19 ottobre 2009 si son o trovati nel “Teatro Stabile dei Pupi del Centro Culturale «Le Ciminiere»”, incantevole locale ricostruito fedelmente con la struttura tipica di un teatrino dell’epoca, per assistere allo spettacolo dell’«Opera dei Pupi» organizzato dalla sezione italiana dell’associazione “Chess Collector International”, in occasione del Congresso Italo-Francese (7° italiano, 2° francese) che si è recentemente tenuto a Catania.
Sfruttando, infatti, gli elementi di questo spettacolo popolare, oltre a una rappresentazione della tradizione culturale siciliana “Angelica a Parigi”, è stata messa in scena una breve recita in versi dialettali a soggetto scacchistico, scritta dal socio Carmelo Coco in omaggio ai congressisti, molti stranieri, intitolata “’A tragica storia râ barunissa Macalda Scaletta, ‘a prima scacchista siciliana” (“La tragica storia della
baronessa Macalda Scaletta, la prima scacchista siciliana”, XIII secolo).
La rappresentazione è incentrata, come scritto nel canovaccio, “sulla prigionia di Macalda baronessa di Scaletta - oggi Scaletta Zanclea e del feudo di Ficarra, località site entrambe in territorio di Messina - moglie del condottiero Alaimo da Lentini, strenuo difensore della città di Messina durante l’assedio francese (Vespri Siciliani, 1282) e, in particolare, sulle partite a scacchi giocate con l’emiro tunisino Margan Ibn Sebir, anch’egli incarcerato nel castello di Matagrifone di Messina”.
Un lavoro che nasce, come spiega il suo autore nel lindo testo preparato per l’occasione in dialetto siciliano, in lingua italiana e inglese e illustrato con gli incantevoli disegni di «Noir», l’artista catanese Danilo La Torre, “da una lunga e attenta ricerca bibliografica sulla storia medievale siciliana che ha portato alla scoperta della prima scacchista siciliana e di altre scoperte molto importanti per gli studiosi di storia degli scacchi”. Al riguardo è di prezioso ausilio il volume, fra i tanti, dello stesso Coco dedicato a questa scacchista ne “Gli scacchi nella Sicilia medievale”, Parte prima, pp. 30,stampato in proprio a San Gregorio (CT) nel 2009. Un approfondito saggio, ricco di note e di rimandi storici e bibliografici, che in copertina riporta il serio e bel volto della baronessa Macalda, tratto da un ritratto custodito nel castello Rufo Ruffo di Scaletta Zanclea.
I due spettacoli, applauditissimi, sono stati rappresentati dalla compagnia teatrale “Il Paladino” di San Pietro Clarenza (CT) diretta da Salvo Mangano. Un “puparo” con una vocazione antica, nata, come tiene a sottolineare la Majorana, da bambino, a metà degli anni cinquanta, come spettatore, prima “prujturi” con don Natale Napoli poi, sempre con la stessa famosa famiglia di pupari catanesi, “manianti” e “parraturi” e sino a quando ha deciso di formare una propria compagnia. Da singolare artista e vero maestro di questo antico mestiere costruisce da sé pupi alti un metro e, in occasione della preparazione per lo spettacolo di Macalda, mi guardava con occhi soddisfatti mostrandomi la scacchiera in gesso colorato che aveva realizzato. Mangano si è prodigato, anche con fatica fisica e poetica interpretazione, non solo per dare vita ai pupi ma anche nella preparazione dell’indovinata scenografia della seconda rappresentazione. E’ riuscito, infatti, a movimentare ugualmente la scena, pur in assenzadelle più usuali armature scintillanti e degli immancabili combattimenti cavallereschi, per rendere avvincente la figura di questa superba e sfortunata donna ingiustamente tenuta prigioniera e privata dei suoi beni. A lei, in questo spettacolo, è stata affidata un’eroica e antica voce femminile - la voce di chi recita è “strumento principe” dell’opera dei pupi e spero un giorno di poter conoscere la recitante per congratularmi con lei - di orgogliosa interpretazione e di caldo sentimento. Un momento di vera arte. Tanto più se si tiene presente che, in qualche modo e forse seguendo la migliore consuetudine di tale tipo di spettacolo, non era stato possibile portare a termine nessuna prova di recitazione. Poi il parlatore declama con enfasi i versi finali in dialetto, anche qui rompendo insieme alla novità assoluta dell’argomento della recita la secolare tradizione che vuole l’opera in lingua tranne che a parlare siano i popolani, «Mossi n’a priggiuni ‘a fimmina scacchista, / râ storia ri scacchi ‘na protagunista. / ‘A so’ storia div’essiri ricurdata, / ca nun si scordi Macalda ‘ncurunata / ri sta bedda Sicilia, ri sta terra marturiata». Parole che seguono il momento in cui Macalda, che si era precedentemente mossa con sorprendente naturalezza perfino nell’accostarsi sulla scacchiera per muovere i pezzi, cade pesantemente a terra, all’interno della cella, morta. Ora tra il pubblico - mi permetto di registrare ancora meravigliato e come è stato anche da altri percepito - sfugge e si ode, in quell’indissolubile intreccio che corre tra la vita e la rappresentazione teatrale, un «oh!» di stupore e di compassione.
C’è da aggiungere, inoltre, trattandosi di uno spettacolo riservato esclusivamente ai congressisti, che gli spettatori, anche i bambini dei genitori catanesi che hanno avuto il garbo di accompagnare, potevano ammirare finalmente da vicino i pupi dietro le quinte con le loro belle armature, i ferri e i macchinari scenici. E l’«oprante» Salvo Mangano, eccezionale puparo “manovratore”, era pronto a spiegare loro ogni segreto. Sempre paziente, garbato. Perfino restituendo, a titolo d’esempio, pur con un solo movimento della posizione del volto o del gesto di una mano di un inerme “pupo”, l’anima del sentimento e un soffio di vita al legno. In ciò mostrandosi non solo vero “Maestro” ma uomo gioioso per tanto interesse manifestato nei confronti dei suoi “attori” e della sua arte.
«Onorateci e rispettateci» era la formula, citata dalla Majorana, che precedeva l’uscita di scena della compagnia dei pupari. Come non rispettare questo caldo invito a spettacolo finito? Se non inviando da queste pagine un nuovo e rinnovato lungo applauso a tutti i componenti della compagnia de “Il Paladino”, alla scintillante voce recitante di Macalda, al suo magnifico direttore Salvo Mangano e all’amico Carmelo Coco che con struggente poesia ha introdotto per la prima volta, e mi
auguro non l’ultima, il gioco degli scacchi in questa straordinaria antica forma d’arte che è l’«Opera di pupi». Bravi! Veramente bravi!
Consentitemi, infine, di rivolgere, e non per uno scontato e doveroso atto di cortesia, un sentito e personale vivo ringraziamento all’onorevole Giuseppe Castiglione, Presidente della Provincia Regionale di Catania, al suo Capo di Gabinetto dottor Puccio Gennarino e al Direttore del Centro Culturale “Le Ciminiere”, dottor Attilio Bruno, attenti interlocutori al servizio della città, che hanno permesso con il loro sostegno e aiuto di scrivere questa memorabile e bella pagina. Ricca, per tutti gli spettatori, soprattutto stranieri convenuti per il congresso CCI, di antica cultura e generosa ospitalità cittadina.
(22. X. 2009)
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